Usa: fallisce la IndyMac Bank Si aggrava la crisi finanziariadi Marco Valsania
Le autorità americane sono state costrette a rilevare la IndyMac Bank, una delle principali casse di risparmio americane specializzate in mutui.
Il collasso dell'istituto, consumatosi nella notte, e' uno dei piu' grandi fallimenti bancari nella storia degli Stati Uniti: IndyMac ha asset per 32 miliardi di dollari. L'istituto riaprira' i battenti lunedi' mattina sotto la gestione dell'agenzia federale Federal Deposit Insurance Corp. (Fdic).
Il fallimento costera' alla Fdic, e quindi ai contribuenti, tra i 4 e gli otto miliardi di dollari, prelevati dal suo fondo che assicura i depositi bancari e che oggi dispone di 53 miliardi di dollari. Il collasso piu' grave tra le banche americane e' stato, nel 1984, quello della Continental Illinois National Bank & Trust con asset per 40 miliardi di dollari.
Il fallimento di IndyMac e l'intervento governativo sono diventati il segno piu' evidente del continuo aggravarsi della crisi dei mutui e del credito. Le autorita' temono che il crack nel settore finanziario non sara' l'ultimo. Negli ultimi giorni anche la crisi dei colossi dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac ha scatenato voci di possibili e colossali salvataggi pubblici in arrivo.
Nella vicenda di IndyMac una delle agenzie di regolamentazione bancaria, l'Office of Thrift Supervision, ha accusato l'influente senatore democratico Charles Schumer di essere responsabile del fallimento: avrebbe seminato il panico inviando a fine giugno una lettera alle autorita' che metteva in dubbio la solidita' finanziaria della banca. Negli undici giorni successivi i risparmiatori hanno ritirato ben 1,3 miliardi in depositi. Ma Schumer ha risposto che la responsabilita' e' invece tutta dell'inadeguata supervisione: le autorita' federali avrebbero dovuto svolgere il loro compito di controllo, impedendo alla banca di utilizzare irresponsabili pratiche nei prestiti immobiliari.
Il sistema finanziario Usa teme il collasso di Walter Riolfi
Se il Tesoro americano e la Fed hanno salvato Bear Stearns, a maggior ragione salveranno Fannie Mae e Freddie Mac. Così ragionavano ieri gli operatori di Wall Street. In teoria il ragionamento non fa una piega, tranne per un dettaglio: che le due società, pur finanziando e assicurando circa la metà dei mutui casa statunitensi, non sono propriamente banche e un salvataggio alla Bear Stearns violerebbe non poche regole e comportamenti della finanza pubblica e privata del Paese. Potrebbe comprarsele lo Stato, hanno argomentato gli operatori, forse suggestionati da un articolo del New York Times, secondo il quale il Tesoro (ossia le tasse dei cittadini) sarebbe pronto a "proteggere" le due società. Non a caso il costo dei Cds (la protezione in caso di fallimento) su Fannie e Freddie è calato di qualche centesimo, mentre i titoli crollavano nuovamente del 20-30% ai minimi degli ultimi vent'anni. Stanotte si è aggiunta la notizia, non del tutto inattesa dopo quanto era accaduto nei giorni scorsi, del fallimento di IndyMac Bank, per la quale le autorità di mercato americane hanno deciso di trasferire la gestione all'agenzia federale Federal Deposit Insurance Corp.
E così siamo ritornati nelle condizioni di quattro mesi fa, quando l'intero mondo del credito sembrava prossimo all'implosione. Con un'aggravante però: perché davanti ai 5.200 miliardi di dollari di attività (più del doppio del Pil italiano) finanziate o garantite dalle due società, i 29 miliardi impegnati per Bear Stearns sono appena una goccia. Senza contare che anche Lehman è agonizzante e le sue azioni trattano alla metà dei 28 $ chiesti un mese fa per l'aumento di capitale. Senza contare che quasi tutte le grandi banche Usa saranno costrette a svalutare ancora gli attivi e chiedere al mercato altre decine e decine di miliardi per ricapitalizzare. E la fiducia, che sembrava non dico ritrovata, ma quantomeno non del tutto compromessa? È finita a terra, come suggerirebbe l'indice che misura il rischio di controparte, risalito a 150 punti dopo essere sceso sotto i 100 a maggio. E dopo il caso IndyMac, c'è suspense per la riapertura di lunedì.
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Qualche segno di speranza
Ma anche a 150 punti questo indicatore è rimasto ieri un bel 100 punti sotto il picco di marzo: segno che c'è speranza. Infatti, se lo stato di salute delle banche americane è semmai peggiorato negli ultimi quattro mesi, le condizioni del credito alle imprese sono andate via via migliorando. Non si può sostenere che negli Usa esista una vera contrazione del credito. Se i canali di finanziamento alle banche si sono praticamente chiusi, a parte la "finestra" lasciata aperta dalla Fed ai primary dealer, quelli destinati alle imprese industriali e commerciali continuano a funzionare. Il costo dei Cds per le aziende più solide è aumentato di appena 22 punti in un mese, mentre continuano le emissioni di nuovi bond anche da parte delle società a più alto rischio.
In Europa le cose vanno ancor meglio. Assicurare i bond contro un fallimento societario costa un po' più che a maggio, ma molto meno di marzo, e i differenziali di rendimento delle obbligazioni a buon rating (ma anche di quelle giudicate "spazzatura") sono aumentati un poco, non esplosi come quattro mesi fa. E la stessa banca centrale europea aveva annotato la settimana scorsa che le condizioni del credito nell'area euro erano tornate a una quasi normalità. Semmai nel Vecchio continente preoccupa più l'economia reale che la finanza, visto il calo generalizzato della produzione industriale a giugno. Ma considerando le perdite dell'indice Stoxx, ben più ampie di quelle di Wall Street, e motivate di volta in volta più con le difficoltà d'Oltreoceano che da fattori autoctoni, si dovrebbe pensare che anche la stagnazione dell'economia europea sia già nei prezzi.
In ogni caso tutto dipenderà da Wall Street. Sembrerà paradossale, ma quello che s'è visto a New York nelle ultime due sedute potrebbe essere incoraggiante. È vero che la Borsa è scesa. Ma davanti al tracollo di Fannie Mae, all'inabissarsi dei titoli bancari e all'ennesima impennata del petrolio, pare d'aver scorto la volontà degli investitori di puntare su alcuni settori, come l'industriale, il tecnologico e anche quello dei consumi. In settimana l'S&P ha perso l'1,9%, il Nasdaq lo 0,3%, ma lo Stoxx è caduto del 4,5% (-4,9% Milano, -5,6% Parigi, -3,2% Francoforte, -3,9% Londra).
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