| Ecco il profilo di Izzo tracciato con competenza dal giornalista e saggista , Ugo Maria Tassinari, autore tra le altre cose dell'ottimo saggio "fascisteria" .
andato crescendo negli anni il numero dei serial–killer e dei maniaci protagonisti di aberranti delitti a sfondo sessuale. Eppure nell’immaginario collettivo, venticinque anni dopo, i “mostri” per antonomasia restano gli autori del “delitto del Circeo”. Il 1° ottobre 1975 due ragazze di borgata, Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, sono brutalizzate e massacrate da tre pariolini, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido nella villa di famiglia dei Guido. Dopo ore di sevizie inenarrabili, convinti che fossero morte, le chiudono nel bagagliaio dell’auto. La Colasanti si è però finta morta e, richiamata l’attenzione dei passanti, li denuncia. Izzo e Guido sono arrestati, Ghira no. Il processo, svolto in un clima di mobilitazione generale del nascente movimento femminista, si conclude con la condanna all’ergastolo per i tre fascio–criminali. Anni dopo Izzo racconterà che il massacro era stato un incidente in una lunga catena di delitti. Solo nel ‘95, dopo più di dieci anni di collaborazione, per farsi perdonare una “scappatella”, si decide a ricostruire sette omicidi compiuti dalla banda, attribuendole una finalità politica del tutto inesistente. I due arrestati sono decisi a non pagarla: Guido può contare sull’appoggio incondizionato di una famiglia ricca e potente. Tenta la strada del risarcimento danni ma Donatella Colasanti rifiuta sdegnata . Riesce comunque – grazie a un atteggiamento contrito – a ottenere in appello le attenuanti generiche e la riduzione della pena a trent’anni. Per il detenuto modello Guido, grazie ai soldi di papà (top manager della Banca nazionale del lavoro, affiliato alla P2, capace di corrompere guardie e funzionari pur di tirare il figlio fuori), evadere da San Gimignano è uno scherzo. La fuga è momentaneamente interrotta in Argentina: anche in questo caso l’evasione precede l’estradizione. Il rampollo pariolino gode di potenti complicità anche oltreoceano. I giudici che indagano sulla strage di Brescia chiedono di interrogarlo in carcere a Buenos Aires perché un pentito lo ha indicato come riscontro delle accuse contro Ferri. Guido scappa prima della rogatoria internazionale ma dal fascicolo trasmesso a Brescia dalla magistratura argentina si scopre che un interrogatorio fissato in precedenza era stato rinviato su richiesta dei giudici italiani, che però ne ignoravano l’esistenza. Izzo, lo “stracciaculo” della banda, si deve altrimenti arrangiare. Riesumando una fugace militanza che aveva preceduto la scelta criminale è ammesso nel circuito penitenziario dei “terroristi neri”. Ottiene di collaborare a Quex nonostante la ferma condanna di Freda, che gli nega, per il suo infamante delitto, il rango di “soldato politico”. Lui comunque non si tira indietro. Nel giugno 1981, alla prima udienza a Bologna al processo Quex, minaccia il presidente Antonacci: “Farai la fine di Amato”. Nella frantumazione dell’ambiente dei detenuti “neri”, si schiera con gli “antifascisti”, Calore e Fioravanti, i duri e puri dello spontaneismo armato che ritengono fratelli dell’altra sponda i brigatisti e identificano il nemico principale nei leader storici della destra extraparlamentare – colpevoli d’intelligenza con il nemico, i servizi segreti e gli apparati di controllo. Nel periodo di detenzione comune ad Ascoli Piceno nasce il progetto di ricostruzione “storica” delle stragi che trasformerà Izzo e Calore in collaboratori di giustizia mentre Fioravanti è trattenuto sul baratro del passaggio da un “atteggiamento critico della mentalità stragista dell’estrema destra” al “pentimento” dalla fermezza della Mambro e di Cavallini. Con la differenza, dal punto di vista della “produttività giudiziaria”, che Calore ha guadagnato sul campo i galloni di “soldato politico”, grazie a una lunga gavetta, mentre Izzo si deve arrangiare rielaborando le affabulazioni raccolte in una decina di anni di peregrinazioni nelle carceri speciali. Più che un “pentito” diventerà un consulente per “spioni” e procuratori d’assalto, inutilizzabile in prima battuta perché le sue sono tutte notizie “de relato” ma prezioso per la conoscenza dell’ambiente, degli intrecci, dei retroscena. Delle esperienze precedenti l’arresto scriverà a don Carmelo, un prete “di sinistra” che diventa amico e confidente di molti terroristi “pentiti” o “dissociati”: “A 14 anni mi accosto ad Avanguardia nazionale [all’epoca il gruppo era sciolto e Delle Chiaie infiltrava militanti nell’ultrasinistra] e poi a Lotta di Popolo credendo di risolvere con la violenza i miei problemi esistenziali. Sono denunciato più volte per risse e aggressioni a mano armata [un altro falso grossolano: nel suo fascicolo risulta solo un arresto per stupro e nessun precedente politico. Quando tenterà di attribuirsi un’aggressione alla figlia di Ingrao, Delle Chiaie ha facile gioco a dimostrare che all’epoca Izzo aveva 10 anni]. Partecipo ad attentati contro abitazioni, sedi e auto di compagni. Formo una banda a mezza strada tra delinquenza politica e comune coi miei amici di infanzia, una comunità chiusa e paranoica che si sentiva in guerra con il mondo. Per tre anni è un susseguirsi di rapine, stupri, traffici di armi e droga. Dopo l'arresto per l'omicidio in carcere mi metto coi detenuti di estrema destra e mi caccio in situazioni di guerra tra clan” . Questa confessione (assai reticente: non c’è menzione degli omicidi ammessi anni dopo) non è disinteressata: attribuendosi un traffico di droga a Bologna spera che il cumulo della pena sia calcolato nella sede del pm Libero Mancuso, che delle sue storie ha fatto ampio uso. Il tentativo fallisce perché la procura dà parere negativo. Smentendo la linea difensiva per il delitto del Circeo – l’impotenza – si impegna in una faida sentimentale nel carcere di Paliano con Cristiano Fioravanti: la posta in gioco è Raffaella Furiozzi, una ragazzina che ha visto morire il fidanzato in un conflitto a fuoco con la polizia. Alla fine la spunta Cristiano. Di questa storia resta traccia nella denuncia per una tentata evasione per cui sarà condannato solo un agente di custodia. Izzo comincia a respirare aria di libertà: gode delle prime licenze e avendo raschiato il fondo del barile delle affabulazioni carcerarie decide di allargare le competenze alle cose di “Cosa Nostra”. Maldestramente si inserisce in un tentativo di depistaggio: Giovanni Pellegriti, un picciotto catanese, comincia a strologare sui delitti eccellenti dopo che è stato messo in cella ad Alessandria con Izzo. Il 7 ottobre 1989 Pellegriti, sbugiardato da Falcone, confessa: “Fu Izzo a darmi i particolari sull'omicidio Mattarella e ad istigarmi a fornirli al giudice Mancuso. Lo stesso Izzo mi aveva fatto il nome di Lima come mandante e il giudice me lo suggerì ma io mi rifiutai di verbalizzarlo. Dopo il mio interrogatorio Mancuso chiamò nella sua stanza Izzo”. Mancuso non aveva competenza né su Mattarella né sugli altri delitti eccellenti. Falcone arresta entrambi per calunnia. Il primo esito giudiziario della vicenda è una condanna a 4 anni per calunnia nel processo contro il vertice di Cosa Nostra e l’assoluzione dei neofascisti accusati da Izzo: Valerio Fioravanti e Cavallini. L’incidente rallenta la sua “battaglia di libertà”. Izzo riesce finalmente a evadere nell’agosto ‘93. Non rientra ad Alessandria da una licenza premio e fugge all’estero. Dopo un viaggio in Inghilterra, Spagna e Belgio è catturato a Parigi, il 15 settembre, seguendo le tracce di un trafficante di armi croato, suo compagno di cella. E’ armato con una calibro 38 e ha una decina di milioni in contanti. Era arrivato quella mattina, stava andando a consegnare un rullino con foto scattate con una ragazza a una corrida. Giustifica la fuga con l’assenza a un controllo durante la licenza e la paura di perdere i benefici. L’attenzione degli inquirenti è attratta da un paio di coincidenze. Bagic Dobrisa, l’ultimo compagno di cella di Izzo, era stato arrestato a Milano mentre trasportava armi per una cosca, sospettata di preparare un attentato contro Di Pietro. La sua compagna, Vesna Turk è scarcerata il 12 maggio 1993 e due giorni dopo, a via Fauro, prende il via una micidiale campagna stragista. La giovane somiglia molto all’identikit della bionda coinvolta negli attentati di Roma, Milano e Firenze e Izzo fugge proprio mentre la Dia consegna un rapporto sulla pista mafia–terrorismo nero–criminalità organizzata per il nuovo stragismo. Dopo l'arresto, Izzo, sul quale grava il sospetto che la vacanza all’estero sia stata una missione per conto di qualche frazione dei servizi segreti, sa farsi “perdonare”. Permette la cattura di Guido, riparato a San Domingo, dove sta avviando un allevamento di polli e ricostruisce le vicende dell’Uovo del drago, la loro banda fascio–criminale, ammettendo la partecipazione a un paio di delitti e rapporti con apparati di sicurezza. Le ammissioni proseguono lungo l’arco di un anno, fino ad abbracciare sette omicidi. Il nome della banda potrà evocare nei cinefili il bergmaniano uovo del serpente, ma ha forse qualche assonanza in più con la Setta del drago nero, della quale nello stesso periodo facevano parte due poliziotti, Bruno Cesca e Antonello Piscedda, arrestati per rapina. Evaso a Firenze il 5 dicembre 1975, e catturato due settimane dopo, Cesca fa “talune strane affermazioni” al giudice istruttore . Allo stato dei fatti, il legame con la banda di Izzo è solo una suggestione. È comunque interessante che già a metà degli anni ‘70 in Toscana – nella fase più calda della strategia del terrore e dieci anni prima della nascita della banda della Uno bianca – agissero poliziotti–rapinatori in rapporto con la destra eversiva. Secondo il giudice Salvini le “Uova” o i “Denti del drago” erano i nuclei di miliziani rimasti in contatto dopo la disfatta di Salò, organizzandosi segretamente come soldati politici in “sonno” pronti a ritornare in azione al momento opportuno in funzione anticomunista e antidemocratica. Izzo tenta di dare dignità politica alla banda attribuendo un ruolo di promozione e coordinamento a Enzo Maria Dantini, il professore universitario di Mineralogia, già dirigente dei Volontari nazionali del MSI e poi di Primula goliardica, l’organizzazione giovanile di Nuova repubblica, fortemente infiltrata dai neofascisti. Dantini, leader del Movimento studentesco di Giurisprudenza nel ‘68 a Roma, è tra i fondatori di Lotta di Popolo e sarà più volte tirato in ballo dai “pentiti” per le attività eversive della destra. Pur avendo abbandonato la militanza attiva nel 1973, allo scioglimento dell’OLP, è arrestato nel 1981 come ispiratore del Movimento rivoluzionario popolare, il braccio armato di Costruiamo l’azione. Il professore torna alla ribalta nell’autunno 1990, quando sono divulgate le liste dei “gladiatori”. La sua presenza in un elenco di 1800 nomi segnalati per l’arruolamento in Gladio, ritrovato negli archivi del Sismi a Forte Braschi suscita una sdegnata smentita: Dantini rivendica una lunga milizia antiamericana, dal nazionalismo europeo di Primula goliardica al terzomondismo radicale di Lotta di Popolo. A confermare la sua compromissione nella rete di sicurezza Nato è però una fonte autorevole, Randolfo Pacciardi . E’ difficile perciò credere che un personaggio di questa levatura fosse il capo di una banda di giovanissimi fascio–criminali le cui uniche attività per anni sono state lo spaccio di droga, le rapine, il regolamento di conti con amici e rivali . “Era normale per noi abbandonare una ragazza dopo averle puntato addosso una pistola... — ricorda Izzo — Era il nostro passatempo. Facevamo parte di un gruppo politico legato al traffico della cocaina e dell'eroina, eravamo in contatto con l'estrema destra e con i servizi segreti”. Izzo racconta come ha ucciso un concorrente, Amilcare Di Benedetto: freddato con un colpo di pistola, squartato, riempito di sassi e gettato in mare, il 1° giugno 1975, per la scomparsa del bottino di una rapina a un grossista di gioielli di Ortona . Un destino simile è riservato a un camerata, Fabio Miconi, anche lui studente del Leone Magno, ricchissimo di famiglia, qualche anno in più di Izzo. Il fratello della sua ragazza, Zoky Marcovich, era stato ucciso in circostanze poco chiare. Aveva rapporti con la Catena, la rete di solidarietà degli ex Oas che aveva basi nel sud della Francia. Lo sospettavano di fare la cresta sull’eroina importata dai “marsigliesi” e spacciata dai “pariolini”. La cosa è evidente durante una consegna in una casa di Borgo Pio. Miconi ha anche nascosto documenti dell'organizzazione. La trappola scatta nella casa della vittima, con cui Guido aveva ripreso i rapporti. Salgono Esposito e Guido, ridiscendono dopo dieci minuti. Lo hanno convinto a mettersi a letto spogliato, preannunciando un imminente stupro di gruppo poi Guido gli ha sparato col fucile di Fabio. La polizia pensa a un suicidio. È l’ottobre ‘72. Izzo ha solo 17 anni. Base degli stupri era la casa di Alfredo Romani, a Montesacro. Il vertice dell'organizzazione sarebbe stato ben introdotto nei servizi segreti e nella grande malavita, il nucleo dei pariolini era composto da Izzo, Ghira, Guido e Esposito. Tra le rapine compiute ci sono quelle a un collezionista d'armi a via Panama (rapina per la quale Ghira era già stato arrestato nel 1973 mentre Izzo era prosciolto), a un gioielliere e a una banca di via Nomentana, alle Poste del Tiburtino e di Marina San Nicola, ai mercati generali di Bologna, alla Banca del Circeo a Lacona, a un orefice di Ortona. Altri delitti, secondo Izzo, sarebbero stati compiuti dai suoi complici: Guido avrebbe ammazzato un pregiudicato in auto a Trastevere, tale Cello, il cui corpo sarebbe stato abbandonato per strada, e poi un albergatore di Roma, ucciso con nove colpi di pistola; Guido ed Esposito avrebbero commesso un omicidio nel corso di una rapina mentre nel 1975 un pregiudicato che disturbava con tentativi estorsivi una signora fascista sarebbe stato ucciso a Mantova da Ghira, Mario Rossi e Sandro Sparapani. Su quest’ultimo episodio è lecito sollevare qualche dubbio: all’epoca Rossi è segretario del Fronte della Gioventù di piazza Bologna e solo quando i dirigenti di Lotta Popolare sono espulsi dal Msi, molti mesi dopo il delitto del Circeo, confluirà nella rete ordinovista in cui militava da anni Sparapani, imputato nel secondo processo a ON. I due saranno poi condannati per aver fatto parte della banda Concutelli, tra l’estate del ‘76 e l’inverno del ’77 . L’arresto di Izzo e Guido non interrompe la spirale. Ghira ed Esposito sono accusati del sequestro di Ezio Matacchioni, uno studente neofascista rapito il 15 dicembre 1975 e liberato a Natale dalla polizia. La vittima accusa i “camerati” Ghira, Esposito, Piero Pieri (figlio di un magistrato), Maurizio Acquarelli e Giuseppe Cobianchi. La polizia sospetta che la vittima fosse d’accordo e che i fondi sarebbero stati destinati a finanziare il terrorismo nero. Esposito è arrestato nell’estate successiva, mentre è a Ponza a fare pesca subacquea. L’episodio ispira due sambabilini, Fabrizio De Michelis e Giorgio Invernizzi. Il 26 marzo 1976 tentano goffamente di rapire un’amica che si oppone ed è brutalmente uccisa: i due, però, lasciano abbondanti tracce del loro incontro all’Idroscalo e sono arrestati e condannati all’ergastolo. Va meglio agli imputati del sequestro Matacchioni. Se la cavano con una generale assoluzione per insufficienza di prove.
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