| Inutile girarci intorno, anche perché c'è ben poca roba sui cui dibattere. La questione assomiglia troppo a una ciambella già afflosciatasi in fase di lievitazione: in mezzo, un buco enorme, dentro cui appoggiare il mento per gettare uno sguardo disincantato su una realtà cruda e indecifrabile. E all'infuori di quella voragine aperta sul vuoto pneumatico, la torta mal riuscita: un ammasso informe di buone intenzioni e di obiettivi costruiti sulla fragile impalcatura delle illusioni.
La superficie ricorda una fetta biscottata. Di quelle bruciate, però, esattamente come certe persone che hanno trovato il coraggio di esporsi e mal glien'è incolto. Sotto sotto, un ammasso caotico di farina, uova, latte e burro. Che si è già "seduto" nello stampo, perché evidentemente la quantità di lievito utilizzata dal cuoco, inesperto demiurgo alla prese con una materia a lui ignota, era insufficiente. Un'opera d'arte figlia del caos delle idee di chi ha tentato di plasmarla: un'accozzaglia senza capo né coda di ingredienti assemblati alla bell'e meglio. Come la tormentata esistenza di chi, messo di fronte a un sentimento mai provato prima d'ora, decide di buttarvisi a pesce, soffittando insicurezze e timidezza caratteriale. Senza rimediarne altro che la propria rovina: obiettivo fallito, ciambella con più buco che materia da mettere sotto le fauci, e insanabile dicotomia tra l'immagine del dessert idealizzata e l'amorfo risultato degli sforzi culinari, roba indigesta e strutturalmente instabile che sa di bruciacchiato.
Ma in testa c'è sempre lei. La torta che doveva uscire bene ed è venuta malissimo, s'intende. Eppure, suggerirebbe qualcuno che la sa più lunga, sarebbe bastato seguire alla lettera le istruzioni impresse a chiari caratteri sulla scatola del preparato. Invece no, a essere sbagliato è l'assunto di partenza. Ovvero pretendere di sfornare un dolce improvvisandosi cuoco provetto, quando non si è nemmeno capaci di fare due uova al tegame. Ovvero mirare a un traguardo che già in partenza aveva in sé la ragione prima del suo mancato raggiungimento: il falso chef vedeva la sostanza intorno, senza badare al buco. E c'è finito dentro, con pentole e coperchi. Perché l'ha fatto, allora? Semplice: la capocuoca ha avuto l'imprudenza di elargirgli un sorriso, che da sguattero - secondo la visione obnubilata e miope del poveretto - l'avrebbe trasformato nel Gualtiero Marchesi della situazione. "Prova un po' a metterti di buona lena - sembrava dire quello sguardo incantevole ed incantato -, ma devi riuscirci da solo...".
Il servo di cucina tale è rimasto. Sette mesi di tentativi infruttuosi, capocciate al muro moltiplicate per settanta, come nella parabola dei fratelli e del perdono. La capocuoca, che l'ha tirato quadro sfogliandogli di tanto in tanto davanti agli occhi le immagini edulcorate e invitanti della meta culinaria, ha smesso di guardarlo e di parlare alle sue fantasie oniriche, che però sembravano prefigurare scenari così realistici... Il buco, stavolta nero, s'è impresso indelebilmente nel cervello del povero deficiente, che è rimasto a contemplare la ciambella implosa e coperta da un sinistro strato di fuliggine e farina riarsa. Ma per colmare quel vuoto con il fallimento intorno la soluzione, casereccia eppure potenzialmente efficace, c'è. Pensare a una torta piana, piena, senza bizantinismi o cineserie creative. Un dolce con pochi ingredienti di immediato reperimento e di ancor più agile utilizzo, quello con la crema pasticcera dentro e i pinoli sopra, velati da un sottile strato di zucchero impalpabile. La metafora stessa dell'incongruità, dell'inconsistenza e insieme della semplicità dell'esistenza umana: riempie il palato, è gustosa ma non troppo, e soprattutto un qualunque barbone può farsela da solo. Senza farsi suggerire l'iter fra i fornelli immaginari da parte di una sedicente capocuoca, così solipsisticamente molesta e arrogante da essere capace soltanto di far collezione di sguatteri. Il buco della ciambella, con il nulla tutt'intorno, alla fine sarà il nutrimento unico delle sue vacue giornate di solitudine. E il poveraccio che voleva improvvisarsi cuoco, forse, dal nero bruciato di quella cucina uscirà in trionfo.
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